Spesso tendiamo a giustificare i nostri magri carnieri con le motivazioni
più disparate, tra cui una delle più ricorrenti è quella del disturbo
arrecato dai nostri colleghi e dal traffico subacqueo e di superficie in
genere. Ad un maggior numero di fruitori del mare corrisponde anche una
crescente sensibilizzazione dei pinnuti che, come vuole l’ancestrale
istinto di sopravvivenza, prendono velocemente le misure, comprese quelle
delle nostre armi. A molti di voi sarà capitato di visitare qualche
posticino fortunato in cui si ha la netta ed inequivocabile sensazione di
essere uno dei rari visitatori e di notare la maggior confidenza di quasi
tutte le specie. Da sempre sogno di poter pescare dentici dove nessuno o
quasi li abbia mai insidiati e negli ultimi anni mi si sono presentate un
paio di occasioni per farlo. Ebbene, che ci crediate o no, in tutto quel
ben di Dio di corvine, saragoni e cernie i dentici c’erano, tanti e
grossi, ma assolutamente inavvicinabili. Eppure tutto era perfetto, la
stagione, l’acqua calda, l’appostamento… Che dire? Mah, ho pensato, forse
vuoi vedere che altri ci hanno pescato, magari proprio ieri… possibile che
siano diffidenti anche se quasi non conoscono l’uomo immerso? Poi lo
scorso agosto un’esperienza nuova ma interessante e la conferma di un
sospetto che da anni mi assilla: tra i fattori che condizionano il
comportamento del dentice (e parlo soltanto di questa specie) rispetto
all’uomo, il disturbo esterno non è così determinante. Ma partiamo dal
principio: nell’agosto scorso ho trascorso cinque giorni a Galeria
(Corsica) in compagnia di alcuni amici, anch’essi validi pescatori.
Conosco benissimo quei fondali che mi hanno fruttato spesso carnieri da
ricordare. E, tanto per non smentirmi, appena arrivato, nell’unica ora di
luce a mia disposizione, riesco a catturare tre dentici sparando con lo
Stealth nello stesso branco ben quattro colpi, l’ultimo dei quali a segno.
Nei due tuffi successivi i pesci mi sono ancora venuti a meno di due metri
dalla maschera ma, a causa della penombra, non sono riuscito ad allineare
il tiro. Peccato… solo mezz’ora prima ed avrei potuto inanellare una serie
da guinness!
Da annotare che nei tre
precedenti fine settimana avevo insidiato lo stesso branco senza alcun
risultato, nonostante le condizioni fossero ideali (mare calmo, acqua
calda senza taglio, alba o tramonto…). Quella sera i dentici sembravano in
preda ad un inspiegabile istinto suicida, ancor più strano perché mi
trovavo in un posto straconosciuto, a profondità accessibile alla gran
parte dei pescatori e, soprattutto, era il 14 di agosto!
Come prevedibile la
mattina successiva le aspettative erano elevate ed il morale alle stelle.
Gli amici che avevo raggiunto, galvanizzati dal mio carniere, hanno
accettato di buon grado la sveglia ad orario militare. Ci siamo diretti
immediatamente sul posto convinti di fare una vera e propria strage, e
invece quegli stessi dentici si sono dimostrati assolutamente
inavvicinabili, nonostante le condizioni ambientali continuassero ad
essere immutate. Dopo aver effettuato alcuni tentativi a vuoto in varie
zone abitualmente assai pescose, chiedo agli altri se sono disposti ad
accompagnarmi su alcuni sommi al largo che fanno parte del mio libro di
riserve personali. Un tuffo qui ed un tuffo là, tutti ben oltre i trenta
metri, sempre attorniato da dentici giganteschi che però si tengono
decisamente fuori tiro. Riesco quasi per caso a centrare un pesce di media
taglia con un tiro lunghissimo, poi per quella giornata e per le due
successive niente da fare.
Lo sconforto pervade la
compagnia e qualcuno ipotizza perfino di forfait per la mattina
successiva, nonostante il tempo continui ad essere fantastico. A quel
punto la butto lì come per scherzo: ‘Perché non deponiamo le armi e ce ne
andiamo tutti a fare una visitina alla riserva della Scandola?’ Dopo i
primi attimi di sbigottimento in cui gli altri pensano che mi sia sniffato
un’intera piantagione di coca, ricevo piena adesione alla voce di ‘Adesso
o mai più’.
Perquisiamo a fondo il
gommone per svuotarlo da ogni più piccola traccia della nostra metà
‘sanguinaria’ e, armati di sola macchina fotografica, varchiamo, non senza
una certa emozione, i confini del più vecchio parco d’Europa. Incredibile
lo spettacolo della alte falesie di un colore rosso fuoco, roba da
togliere il fiato ma la nostra attenzione ormai è rivolta a quello che
troveremo là sotto…
Come da facile
previsione i guardiaparco ci abbordano senza esitazione,
probabilmente attirati dalle mute mimetizzate che non
ricordano esattamente dei ‘fishwatchers’. Dopo i controlli e
gli ammonimenti di rito ci lasciano in pace e noi, con
malcelata emozione, ci tuffiamo in quelle acque proibite.
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Lo spettacolo che
si apre davanti ai nostri occhi è insolito ed emozionante:
nuvole di saraghi e corvine volteggiano incuranti della nostra
presenza fin dai primi metri di profondità. Abbiamo trovato una
spaccatura alla abissale quota di tre metri nella quale saraghi
da chilo si pressano fino all’inverosimile… poco più in basso
sotto due sassoni, decine di enormi corvine si incrociano
lentamente… |
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Tutti pesci tanto
tranquilli da poterli toccare con la mano, segno inequivocabile di un
ambiente dove la pressione venatoria è pressoché zero; del resto con una
sorveglianza tanto stretta l’eventualità del bracconaggio è veramente
remota.
Ma non ci basta, vogliamo vedere
i dentici che ci sbattono sul vetro della maschera ed allora iniziamo un
serie interminabile di spostamenti da una punta all’altra, lavorando di
scandaglio e di cartina come se cercassimo delle vere prede. Abbiamo
visitato quelli che presumo siano i punti dell’intera riserva più idonei
all’incontro con i dentici, ho personalmente portato aspetti curatissimi
fino a trenta metri riuscendo ad avvistare un solo branco e per giunta
inavvicinabile; e questo nonostante l’assenza di termoclino e le perfette
condizioni meteo.
Al rientro il commento è
stato unanime: perché mai, mentre tutte le altre specie mostravano un
comportamento di estrema confidenza, i dentici erano assenti o comunque
diffidenti quanto quelli al di fuori dei confini della riserva?
Evidentemente devono esistere fattori che nessuno è ancora riuscito ad
individuare ma che influenzano questi pesci molto più della pressione
umana e del termoclino.
Per la verità già da anni
avevo sviluppato la convinzione che l’uomo incidesse in maniera secondaria
sulla presenza o sul comportamento dei dentici: ripensando a molte delle
catture e degli insuccessi collezionati negli ultimi anni mi rendo conto
che ho già avuto numerose prove in questo senso. Ho letto di recente una
curiosa teoria sul ‘branco di dentici vergine’, secondo la quale dopo una
o due catture i pesci superstiti non sarebbero avvicinabili per quasi
tutta la stagione. Se così fosse, io negli ultimi anni non avrei
praticamente pescato, visto che le mie battute sono impostate sulla
periodica visita agli stessi branchi da ognuno dei quali prelevo, nel
corso della stessa stagione, anche fino a dieci esemplari. E non si
spiegherebbe il fatto che lo stesso gruppo di pesci per tre settimane e
fino alla sera prima inavvicinabile una certa mattina, magari in pieno
agosto tra centinaia di barche, conceda tre o quattro facili catture
consecutive.
Dopo vent’anni dedicati
quasi esclusivamente a questi meravigliosi pinnuti ho ovviamente elaborato
e sintetizzato alcune regole che mi consentono di prevedere in anticipo la
bontà di una giornata. Oltre alla lunga serie di fattori ben noti alla
stragrande maggioranza dei sub ‘navigati’, come la stagione, gli orari, la
condizione meteo, il termoclino, la corrente esistono alcuni piccoli ma
importanti segnali che l’esperienza mi ha portato a catalogare ed
interpretare. Talvolta mi basta una semplice occhiata allo schermo dell’ecoscandaglio
per decidere di non entrare neanche in acqua nonostante la presenza di
fitta mangianza… Eppure a mano a mano che accumulo una così vasta
casistica di situazioni mi rendo sempre più conto che debbano
obbligatoriamente esistere dei fattori fortemennte condizionanti del tutto
sconosciuti ai noi pescatori. Dato per scontato che non possiamo
catalogare ogni nostro insuccesso come predestinato poiché l’azione di
pesca al dentice è talmente complessa e deve essere eseguita alla
perfezione perché sia efficace, non dobbiamo allarmarci troppo se qualche
branco si prenderà beffe di noi… Analizzando il tuffo precedente spesso
sapremo cogliere uno o più errori che hanno portato al fallimento: quello
che invece non possiamo spiegare è un totale disinteressamento dei pesci
nei nostri confronti, fenomeno che si ripete per uno o più giorni e
sistematicamente passando da un branco o da una zona all’altra. Dopo aver
visto quantità industriali di pinnuti e con il carniere desolatamente
vuoto ci sediamo a meditare provando a trarre un valido insegnamento:
siamo a fine giugno, la stagione per eccellenza… l’acqua è 24-25 gradi,
più di quanto basti… siamo entrati in mare prima delle sei, era ancora
mezzo buio...il termoclino non c’era o doveva essere ben al di sotto di
noi…la mangianza si tagliava col coltello… la corrente era perfetta… gli
appostamenti potevano anche non essere tutti azzeccati, ma non tanto da
causare addirittura la fuga dei pesci! Rimane un’ultima ipotesi, quella
che altri abbiano battuto ripetutamente ed a lungo gli stessi luoghi
terrorizzando i pesci superstiti: ma, dopo aver visitato quindici o venti
mire nel raggio di trenta miglia a profondità variabili mi pare una
spiegazione un po’ troppo semplicistica.
Alcuni dei miei segnali
sono costituiti da singoli sassi adagiati al largo a quote vicine ai
quaranta metri; non ci ho mai visto altri subacquei ed è ragionevole
pensare che nel corso della stagione non vengano visitati da più di due o
tre pescatori, me compreso. Eppure nelle giornate storte, anche in assenza
di termoclino, il comportamento dei dentici è lo stesso di quelli che
stazionano in venti metri sulla punta dietro al paese e che sono
sistematicamente insidiati da ogni pescatore che esce dal porto.
Qualche settimana
addietro l’amico Sheilo Pisciottu (Imago Video Sub, per intenderci) mi
invia una videocassetta dall’apparenza anonima assicurandomi che si tratta
di dinamite pura. Non senza una punta di curiosità la sparo nel VCR e mi
godo un’ora di spettacolo ineguagliabile: il video, sul mercato con il
titolo Sogno Blu, è stato girato in apnea con pazienza e mestiere nei
parchi del Nord Sardegna e Sud Corsica e mostra nuvole di corvine,
corpulente e confidenti cernione ma, soprattutto, sterminati branchi di
dentici tra cui veri e propri ‘cavalli’. Per la verità ho visto con imiei
stessi occhi simili spettacoli anche in agosto ed in zone aperte alla
pesca ma si tratta di eventi così rari che, anche mettendoli tutti
assieme, potrei arrivare a cinque o sei minuti mentre lui ci ha riempito
un documentario. Quando il nastro si ferma impiego dieci minuti per
riprendermi, poi chiamo Sheilo e gli chiedo di dirmi tutto, il come, il
dove ed il quando e scopro che non è stato tutto così facile come sembra.
I parchi Corsi come
quello di Lavezzi o dei Monaci, essendo di media o piccola estensione,
godono di una sorveglianza severissima e costante per cui possiamo
considerare il prelievo umano uguale a zero. Ed i folti branchi di corvi e
saraghi, le massicce orate e le docili cernie ne sono la più valida
testimonianza. Eppure nonostante tutto quel ben di Dio anche il bravo
Sheilo, grande apneista (scende oltre i trenta metri con una telecamera
professionale grande come un acquascooter!) ed insuperabile operatore
nostrale, mi diceva di aver passato quasi un mese ad inseguire inutilmente
dentici che non si avvicinavano a meno di quindici o venti metri…
Poi una mattina,
apparentemente identica alle altre, quasi come per magia ecco che i pesci
iniziavano a girargli attorno causando il rapido esaurimento di batteria e
nastro a vantaggio delle riprese che oggi possiamo goderci dal nostro
comodo divano.
Che si tratti o meno di
una serie di fortuite coincidenze non è tanto determinante quanto lo è il
fatto indiscutibile che siamo di fronte ad una serie infinita di
circostanze in cui il consueto criterio di valutazione del rapporto
DISTURBO/DIFFIDENZA viene letteralmente stravolto. Ognuno è libero di
trarre le proprie valutazioni, se utilizzare questi elementi per
determinare una nuova teoria comportamentale oppure considerarle semplici
anche se frequenti eccezioni. Per quanto mi riguarda ritengo quello che ho
visto e che altri mi hanno testimoniato più che sufficiente per ritenere
il disturbo umano un’elemento decisamente secondario nell’influenzare il
comportamento dei miei pesci preferiti.
Non voglio certo
sostenere che la presenza umana non condizioni il comportamento dei pesci,
ma più semplicemente che non lo ritengo uno dei fattori principali nel
determinare le nostre possibilità di cattura. Già da anni utilizzo queste
conclusioni per organizzare le mie battute; il nuovo modo di vedere la
pesca del dentice mi ha portato spesso ad effettuare catture in luoghi e
periodi che prima avrei nettamente trascurato e, soprattutto, mi ha spinto
a reinterpretare in chiave diversa il bagaglio di esperienze accumulato in
questi vent’anni di mare. Un esempio? Quando pescavo in posti a tutti
conosciuti ed accessibili pensavo che il raggiungere la secca all’alba
fosse determinante perché mi permetteva di essere il primo ad insidiare i
pesci ed i risultati mi davano ragione: le poche volte che arrivavo sulla
secca alle dieci ed i dentici erano inavvicinabili era fin troppo facile
dedurre che altri li avessero disturbati prima di me… poi, battendo zone
sperdute e profonde, ho notato che comunque a mano a mano che il sole si
alzava sull’orizzonte le possibilità di cattura calavano drasticamente
anche lì. Ovvia la conclusione: l’alba è più redditizia semplicemente
perché è, assieme al tramonto, il periodo migliore. Partendo da questo
presupposto ho iniziato a programmare nell’ultima ora di luce visite alle
secche più conosciute e frequentate: che ci crediate o meno, arrivando
soltanto una o due ore dopo che l’ultimo delle centinaia di visitatori
della giornata (pescasub e bombolari) se n’era andato ho spesso trovato
pesci avvicinabili e realizzato notevoli carnieri. Cosa dovrei pensare?

Come ho tentato di spiegare dettagliatamente nel mio precedente scritto ‘Scienza,
empirismo, teorie e metodi’ dobbiamo renderci conto che le nostre
conoscenze relative al comportamento delle prede di fronte all’uomo sono
estremamente limitate e soprattutto sono il frutto di osservazioni
sporadiche, casuali, effettuate in condizioni non codificate e prive
quindi di ogni fondamento scientifico. Lo scambio di esperienze che ha
caratterizzato i pochi decenni di storia della pescasub si è limitato ai
rari scritti disponibili ed alle chiacchierate nei circoli ed è quindi
inevitabilmente viziato da una forte componente emozionale e soggettiva
che ci ha permesso di individuare soltanto poche indicazioni, comunque
sufficienti a decidere il da farsi nel 70-80% dei casi. Per le restanti
occasioni dobbiamo accettare quella dose di imprevisto che fa della pesca
subacquea l’attività di prelievo di gran lunga più sportiva ed
affascinante.
