


RUMORE di
SPARO e PREDE - estate 2002
Il programma iniziale prevedeva tre
giorni in Corsica con l'amico Armando, ma Eolo ci ha messo lo zampino e le previsioni che
non promettono niente di buono sconsigliano la traversata.
Per tutto il giovedì con l'ausilio dei siti specializzati e del bollettino
nautico sul canale 68 valuto attentamente la situazione meteo, arrivando alla conclusione
che la perturbazione prevista dovrebbe concentrasi sul centro nord Italia ed interessare
soltanto marginalmente (o almeno con un certo ritardo) la parte bassa dello stivale.
Un breve consulto telefonico ed Armando approva la mia proposta: si parte
per le isole Pontine. Per me sarà la terza visita allo stupendo arcipelago che in
precedenza mi aveva regalato forti emozioni e buone catture.
Alle 13 del venerdì siamo in viaggio, con la speranza di goderci almeno il
calasole, ma un pesante ingorgo sul raccordo anulare della capitale ci ruba quasi due ore.
Arriviamo a San Felice Circeo per le 19.30, variamo velocemente il gommone e dirigiamo la
prua su Ponza. Si tratta di una ventina di miglia, a cose normali tre quarti d'ora, ma
c'è una fastidiosa onda lunga che ci obbliga ad un'andatura più tranquilla: arriviamo
all'isola per le 20.40 mentre il sole è già sull'orizzonte ma la voglia di pescare è
così bruciante che, quando sull'echo appare l'immagine della secca, non so resistere alla
tentazione di farmi un tuffo.
Indosso la muta a velocità supersonica mentre Armando, scuotendo la testa,
continua a ripetere che sto facendo tutto per niente perché sott'acqua la scarsa
luminosità non mi permetterà di pescare. Ma ormai sa come sono fatto, se mi metto in
testa qualcosa non mi si ferma neanche con le cannonate e accetta di buon grado il ruolo
di barcaiolo.
L'acqua è cristallina e, nonostante la poca luce, vedo distintamente la
sabbia a trenta metri. Carico l'oleo da 110 e preparo velocemente il tuffo sul sommo a
-19. Una volta sul fondo, nell'acqua che ormai somiglia ad un cielo di notte, scorgo le
ombre blu cobalto dei miei amati pesciolini
sono tanti anche se non riesco a
valutare bene perché ad una certa distanza la livrea si sfuma con il colore del mare. Con
questa stessa luminosità un sarago od una cernia sarebbero molto più facilmente
avvistabili, ma l'azzuro-blu del dentice in condizioni di scarsa illuminazione svolge un
sorprendente effetto mimetico e spesso accade che vedi il pesce quando già ti è addosso.
Non mi pare scorgere pesci di mole e, dopo aver lasciato passare i primi
esemplari, decido di sparare: il pesce di due chili e mezzo, colpito dietro la testa, non
oppone resistenza. Dopo averlo salpato con decisione per non disturbare ulteriormente il
resto del branco, lo passo al barcaiolo e ricarico in tutta fretta. Purtroppo il tuffo
successivo lo faccio nella notte e le ombre che mi girano attorno (presubilmente ancora i
dentici) non sono sufficientemente distinguibili da permettere un secondo tiro, così
decido di risalire e spogliarmi.
Un solo pesce di media taglia, comunque sempre piacevole perché 'rubato'
dopo essersi già rassegnato a non pescare del tutto.
Arrivati sulla spiaggia montiamo la tenda per la notte, poi ce ne andiamo a
cena con Antonio (Terminator per i più intimi) che da due giorni è sull'isola ospite a
casa di un amico.
A tavola Antonio e Lorenzo mi raccontano della bella cattura pomeridiana (un
dentice di 5,5 Kg) e dei numerosi avvistamenti, soprattutto cernie, contribuendo alla
stesura del mio piano di battaglia per il giorno successivo.
La giornata, che sembrava ormai interminabile, si chiude al suo scadere
astrologico quando, poco dopo la mezzanotte, io e Armando chiudiamo gli occhi sotto la
tenda. Ma si tratta di un riposo di breve durata perché alla 4 e 40 la sveglia,
implacabile, ci violenta brutalmente. Ci sono mattine in cui, per come mi sento, mi
rimetteri a dormire senza esitazione, ma quando le aspettative ed i luoghi da visitare
sono così allettanti il sonno svanisce come d'incanto, lasciando il posto a quella che io
definsco 'frenesia prevenatoria'.
Armando la mattina è più lento a carburare e sono costretto a scuoterlo
ripetutamente: si riprenderà del tutto soltanto quando la prua sarà diretta verso la
secca magica, il luogo che abbiamo identificato come talmente promettente da investirci
l'alba.
Come previsto siamo soli, arriviamo con il motore al minimo ed ancoriamo
lontani dalla zona buona per limitare il disturbo.
La solitudine, il mare d'olio e l'assenza di ogni brezza rendono il sorgere
del sole ancora più suggestivo, regalandoci quella fantastica sensazione di essere i
padroni incontrastati della zona.
Per sfruttare al meglio la prima ora di luce decidiamo di battere la zona
separatamente, scorrendone ciascuno un lato per poi ritrovarci dalla parte opposta.
Armando si dirige dalla parte dove, nelle due precedenti visite, avevo sempre trovato i
dentici, ma anche questa volta sembra che gli sparidi siano destinati ad avere un
appuntamento con il sottoscritto.
La visibiltà è discreta, attorno ai 23-24 metri e non c'è taglio,
soltanto un graduale raffreddamento dopo i venti metri.
Faccio il primo tuffo all'inizio del pianoro, sui 19-20 metri, e già mentre
scendo scorgo i pesci che paiono tranquilli.
Non appena mi fermo iniziano l'avvicinamento: studio il branco e, una volta
constatato che gli esemlari hanno grossomodo la stessa taglia, scocco il tiro fulminando
un dentice di 2,4 Kg. Non è l'inizio che mi aspettavo, ma a volte bisogna sapersi
accontentare.
Un branco così tranquillo merita un secondo tuffo. Solitamente, dopo aver
catturato un dentice, eseguo l'aspetto successivo sullo stesso branco ad una profondità
superiore perché i pesci si difendono sempre guadagnando il fondo. E così, dopo essermi
allargato di una ventina di metri, eseguo un aspetto a -23. Questa volta, dopo i primi
pesci da due-tre chili, arrivano anche quelli da sette-otto che mi puntano decisi.
Allineo un bel pescione ma, quando sto per premere il grilletto, lui se ne
scatta via spaventato dall'arrivo di una ricciolotta da una quindicina di chili che mi
sfila tranquilla dalla sinistra verso destra a non più di due metri dall'asta. Guardo i
pescioni che si soffermano ad una decina di metri e, sperando che possano concedermi una
seconda possibilità, rinuncio al facile tiro: mai scelta fu più azzeccata perché, non
appena la ricciola si allontana, i dentici riprendono ad avvicinarsi decisi.
Nonostante la limitata profondità, l'aspetto volge alla fine e non c'è
più tempo per scegliere né per aspettare i 'catamarani' di quasi dieci chili che
intravedo sullo sfondo: sparo al primo pesce che mi si para davanti al fucile e lo centro
proprio dietro la testa. L'impatto dell'asta da 7 è devastante e bastano pochi metri di
mulinello per contenere la reazione; il pesce arriva in superficie qualche secondo dopo di
me, lo finisco rapidamente e lo metto a cavetto: sei chili e due, mica male come seconda
preda del branco!

Il terzo tiro è un evento raro, ma
vale sempre la pena di provare.
Mentre mi preparo sopraggiunge Armando, richiamato dal rumore dei due
precedenti spari. Decido di lasciare a lui, che non ha ancora sparato, il prossimo tuffo.
Nonostante le mie indicazioni non riuscirà a scorgere i pesci, probabilmente le due
perdite sono state una lezione sufficiente, almeno per oggi.
Mi sposto poco più in fuori, sulla verticale di un sommetto a 27 metri e
preparo un nuovo aspetto. Mentre plano scorgo una fitta nuvola di mangianza (menole, boghe
e salpe) che si agita nervosa sul lato sottocorrente del sommo: buon segno, penso, e
studio attentamente il luogo dove appostarmi.
Pochi attimi dopo aver raggiunto il fondo un branco di pesci di mole si fa
largo tra i pesciolini: a prima vista non riesco ad identificare la specie, sono circa una
cinquantina di esemplari che nuotano vicinissimi uno all'altro in maniera piuttosto
caotica, quasi come se fossero enormi salpe. Quando capisco che si tratta di ricciole tra
i dodici ed i quindici chili rimango sorpreso, non le ho mai viste muoversi così.
Il branco mi sfila proprio davanti al fucile e l'insolita concentrazione mi
stimola un insano pensiero, qualcosa che manca al mio palmares di pescatore: la coppiola
di pescioni!
Inizio allora a provare vari allineamenti, consapevole che, trovato l'attimo
favorevole, l'arma sarà in grado di trafiggere senza problema due pesci di questa taglia
e che i quasi 80 metri di Spectra saranno sufficienti a contenere la simultanea reazione
delle due prede.
A mano a mano che le ricciole mi scorrono davanti mi rendo rapidamente conto
che non si può chiedere troppo alla fortuna e allora, per evitare di restare con un pugno
di mosche, rinuncio alla coppiola, scelgo uno dei pesci in coda al branco e sparo. Il tiro
è ancora una volta azzeccatissimo e il pesce si 'accontenta' di 20-25 metri di sagola. Il
tanto atteso collaudo del nuovo sfucile sulla seriola è finalmente arrivato e, anche se
avrei preferito un pesce di mole più considerevole, mi rendo conto del grande potere di
arresto di quest'arma. Armando scende per il secondo colpo ma non lo effettua ritenendolo
superfluo, anche se io per abitudine lo consiglio sempre per prevenire brutte sorprese
difficilmente prevedibili, come la rottura della sagola o dell'aletta. Neanche cinque
minuti e anche la ricciola è nel cavetto che da adesso in poi rimarrà a galla affidato
alternativamente al compagno di superficie.
Nuovo tentativo di Armando ma le ricciole sembrano sparite, peccato
E' di nuovo il mio turno: mentre plano verso una nuova guglia un branco di
palamite mi taglia la strada per il fondo. Eseguo un rapido allineamento e tento uno di
quei tiri per niente facili: la palamita ha carni tenerissime e reazione rabbiosa per cui
soltanto un tiro ben piazzato può garantire il recupero, ma questa mattina sono un
cecchino e l'asta trafigge il pesce di quasi cinque chili sulla linea laterale a centro
corpo. Lo recupero di forza e pregusto già il delizioso carpaccio per la cena di stasera.
La prima tappa si conclude senza altre catture né avvistamenti di rilievo e
prima delle sette siamo alla volta della mira numero due. Mentre il gommone fila via
liscio a quasi trenta nodi, la mente elabora le informazioni traendo importanti
considerazioni e conferme. Ho catturato quattro pesci in quattro tuffi consecutivi nel
raggio di cinquanta metri, e tutto usando un oleopneumatico caricato a 42 atmosfere.
Armando ha avvertito distintamente il rumore degli spari da qualche decina di metri di
distanza e non c'è alcun dubbio che l'oleo sia meno silenzioso di un arbalete. Ma la
domanda che mi pongo è sempre la stessa: quanto il rumore in fase di sparo condiziona
negativamente la pescata? Ed anche la risposta continua ad essere la stessa, sempre più
suffragata da inconfutabili riprove. Molti anni fa, quando iniziavo ad insidiare i
dentici, pescavo con uno Sten 130, caricato a 40 atmosfere montando aste da 8 o 9mm. Tre
pesci nello stesso branco non erano un'eventualità rara, ma i due tiri consecutivi erano
quasi la norma, eppure il rumore era di gran lunga superiore a quello di un oleo di nuova
generazione con asta da 7mm come quello da me usato quest'oggi.
In base a queste frequenti e univoche esperienze devo dedurre che il rumore
dello sparo di un'oleopneumatico non è particolarmente allarmante, almeno per dentici e
pelagici in genere e, in ogni caso, disturba assai meno del dibattersi di un pesce ferito.
Sono fermamente convinto che sia meglio sparare con un fucile più rumoroso che però
infligge alla preda uno schock tale da limitarne la reazione e permetterne un rapidissimo
recupero che non utilizzare un'arma silenziosissima per poi lasciare il pescione libero di
scorazzare spaventando irrimediabilmente il resto del branco.
 |
Il
resto della pescata si svolgerà senza catture o avvistamenti di particolare rilievo (a
parte l'incontro con il mitico Tony Guastella) e nella tarda mattinata rientriamo al porto
per procedere alla vendita del pescato. So che molti non condividono questa pratica ma io
lo faccio abitualmente e senza particolari remore perché indipendentemente dalla
destinazione delle prede non ho mai finalizzato il mio modo di pescare al tornaconto
economico
ma di questo avremo ancora occasione di parlare in una lunga riflessione
dedicata che sto preparando ed intendo pubblicare in futuro. |
Dopo un ottimo pranzo
e qualche ora di goduto riposo (la giornata è fantastica) ci concediamo il calasole,
purtroppo infruttuoso. Durante la cena la stanchezza si fa sentire e moltoprima di
mezzanotte stiamo già in tenda; purtroppo il meritato riposo notturno verrà interrotto
dall'arrivo, verso le tre del mattino, della perturbazione che ci costringerà a smontare
in tutta fretta la tenda mentre pioggia e vento aumentano a vista d'occhio. Usciamo in
gommone poco dopo le quattro dopo aver stivato i bagagli nei gavoni asciutti.
Il mare è già parecchio mosso ma, visto che abbiamo comunque già
indossato le mute, decidiamo di provare un paio d'ore nei posti migliori tra quelli
ragionevolmente vicini. Tempo perso: i posti che soltanto ieri erano pieni di vita oggi
sono completamente deserti. La perturbazione pare aver allontanato i pesci e non ci resta
che fare rotta sul Circeo preparandoci ad un interminabile rodeo (io ormai ci sono
abituato, Armando un po' meno
) visto che dovremo navigare esattamente contro una
ventina di nodi di vento.
La fuga prematura ci permette di evitare le code domenicali: le cinque ore
di auto trascorrono in maniera assai più tranquilla che non all'andata ed a metà
pomeriggio stiamo già lavando le attrezzature.
Non c'è dubbio che un fine settimana del genere sia stancante o, per
qualcuno abituato a pescare in maniera più comoda, addirittura improponibile, però vi
assicuro che la bellezza ed il fascino dell'Arcipelago Pontino valgono qualsiasi
sacrificio: certo, il pesce non è facile e spesso profondo, ma l'eccezionale limpidezza
delle acque, la varietà e la spettacolarità dei fondali ed il fantastico scenario della
costa sanno ripagare i veri amanti del mare.
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